Ventinove luglio 2018.
Per chi non mi conoscesse, cioè tutti tranne parenti, amici, amici di Facebook e nemici (per la cronaca non ho nemici ma è ovvio che prendendo posizioni abbastanza nette a qualcuno do fastidio, e va benissimo così, sennò non varrebbe la pena di sbattersi per cercare qualcosa che assomigli alla verità), sono Attilio. Quando ero piccolo ero fiero di portare il nome di mio nonno e anche lui ci teneva tanto, me lo ricordo abbastanza bene anche se morì che avevo sei anni.
Però mi rendevo conto che nessuno si chiamava come me, Attilio è un nome poco diffuso, andò di moda tanti anni fa ma oggi non so se in Italia ne nascerà almeno uno all’anno. Tutto può essere, sta di fatto che a un certo punto dell’infanzia mi sono chiesto come mai a nessun genitore piacesse questo nome.
Porca miseria, se chiami tuo figlio Ugo forse il prossimo potresti chiamarlo come me, Attilio è nettamente più bello di Ugo. Comunque fai un po’ come vuoi, non mi offendo.
Oggi sono fiero di portare questo nome. Se telefono o citofono a qualcuno non devo spiegarmi, nessuno mi chiederà “Attilio chi?”, sono io e basta, non creo confusione, o mi conosci o non mi conosci, “Attilio chi” non me l’ha mai detto nessuno. Insomma, col mio nome non faccio perdere tempo a nessuno.
Ho frequentato la scuola materna che ai tempi si chiamava asilo, al San Giuseppe di Brescia, e dopo alcuni anni ho scoperto che anche Papa Paolo VI passò di lì. Chissà che simbolo aveva, magari anche lui il fungo e appendeva la sua giacca dove la appendevo io.
Alle elementari, che oggi si chiamano “primaria”, ero all’istituto Camillo Ugoni che ho poi scoperto essere stato un rivoluzionario bresciano vissuto tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, costretto all’esilio in Svizzera per aver partecipato ai moti del ’21 (in pratica era un brigatista rosso), amico di Ugo (eccolo Ugo!!) Foscolo, un autore che non ho mai amato particolarmente e che a Brescia pubblicò i Sepolcri (oggi a Brescia c’è pieno di sepolcri imbiancati ma non voglio svelarvi subito i nomi). Con tutti i capolavori letterari che sono stati scritti, proprio i Sepolcri dovevano essere pubblicati qui.
Ugoni scrisse sul “Conciliatore”, di cui Foscolo fu un mancato collaboratore, che poi gli Austriaci ebbero la bella idea di far chiudere.
Forse per questo motivo dove c’era la mia scuola si trasferì la sede del Giudice di Pace, ma mi rendo conto che non c’entra niente.
Dopo le elementari (scuola primaria), frequentai le medie (oggi scuola secondaria di primo grado – siamo passati da cinque lettere a ventotto) presso la Dante Alighieri, che scoprii subito non essere il titolare del frantoio dell’omonimo olio ai tempi sponsorizzato a Carosello.
Seguì il Liceo Scientifico e, colpo di scena, oggi il Liceo Scientifico si chiama ancora Liceo Scientifico!
All’inizio delle medie nell’appello delle 8 c’era il nome di un certo Gambera. Fu assente per diverse settimane a causa di una frattura al femore, e poi si trasferì. Ogni volta che la profe faceva l’appello pensavo “che sfiga”, però anche “che fortuna”, infatti sarebbe stato peggio se si fosse chiamato “osso del collo”.
Ironia della sorte, poco prima dell’inizio del liceo, mi ruppi tibia e perone a causa di una banale caduta con lo skateboard (che i miei genitori non volevano regalarmi perchè dicevano fosse pericoloso) che mi tenne lontano dalla scuola per qualche giorno e lontano dalle lezioni (si fa per dire) di ginnastica (che poi diventò “educazione fisica” e oggi “motoria” e nessuno ha mai capito a cosa serva cambiare continuamente nome a una materia di per sè inutile, utilissima in teoria ma inutile per come la “facevamo” noi).
Il mio liceo si chiamava Alessandro Luzzago, un mancato gesuita per motivi economici, morto in odore di santità ma non diventò nemmeno beato (a proposito, non si dice “in odore di beatificazione”? Perchè?) ma Papa Leone XIII gli conferì il titolo di “venerabile”. Quando frequentavo quella scuola mai nessuno ci parlò di lui e io ero convinto che “Ven.” fosse l’abbreviativo di “venator”, cioè “cacciatore”. Si sa, la nostra è terra di doppiette, specialmente quella dove abito da 18 anni (Val Trompia), quindi la mia supposizione era fondata su un pensiero logico.
Alla fine del liceo, che feci durare un anno in più per motivi che non starò qui a raccontare, decisi di iscrivermi a Gurisprudenza perchè un fratello di mio papà (che allora si chiamava zio e anche oggi, pur essendo morto da 15 anni chiamo ancora zio) era avvocato, uno dei decani bresciani iscritti all’ordine che mi fece capire che sarebbe stato felice di insegnarmi il mestiere.
Ottenuta la laurea (col minimo dei voti) capii che a me quella roba lì interessava relativamente, infatti non la usai mai e il foglio di carta giace come nuovo arrotolato in un tubo. Anzi, prima o poi lo venderò su Ebay (non ricordo quanto presi in “Penale” ma credo che vendere un titolo di studi sia ancora reato).
Riassumendo sono Attilio, sono sposato e ho quattro figli, una moglie, nessun animale (da bambino già era evidente la mia avversione per quel “regno”, un porcellino d’India mi durò una settimana – per fortuna! – prima di schiattare, un paio di pesci rossi vinti facendo canestro con la pallina nelle ciotoline di vetro al lunapark sopravvissero una quindicina di ore, una coppia di canarini regalata a me e ai mie fratelli si rifiutò di “cantare” e non sopravvisse più di tanto. Sulla mia testa non si sono mai verificati casi di pediculosi proprio perchè qualcuno deve aver avvertito i pidocchi che non amo gli animali.
Per oggi può bastare, conto di continuare la storia non appena qualcuno mi dirà di provare un minimo interesse ai Kazzimiei.