Scopro ora che stasera RAI 1 ospitava la replica di una replica di una replica della replica di uno spettacolo replica di Roberto Benigni. Non me lo ricordavo ed è stato meglio, così non ho nemmeno acceso la TV per ascoltarlo due minuti. Mi chiedevo, di che cosa potrebbe avere parlato? Dell’Europa, dell’euro, di Ventotene… L’ho letto ma l’avevo già letto pure nel pensiero: il mio. Infatti il guitto toscano che da più di trent’anni fa sempre gli stessi versi, sorrisoni gesticolanti a tutto volume, battute grasse e allusioni sempre le stesse, alternate a recite bellissime poiché in questo caso i testi non sono suoi, non propone nulla di nuovo dall’ultima palpatina al pacco di Pippo Baudo e al sedere della Carrà. In pratica una noia mortale. La vera lezione odierna sull’Europa l’aveva già tenuta Giorgia Meloni, alla quale molti amici distratti continuano a fare le pulci, non avendo tempo per approfondire ciò che dice, fidandosi dei riassunti parziali e spesso faziosi dei media che magari dicono di non frequentare da millanta anni. Pazienza. Sta di fatto che la parte contestata oggi alla Meloni, l’attacco al manifesto di Ventotene, passerà agli annali come un momento davvero di destra nella storia della nostra scalcagnata Repubblica. Una ventata politicamente scorretta che ha suonato come un esorcismo alle assatanate opposizioni in preda al delirio perenne. Urlavano e sbraitavano, e la Schlein, l’onomatopeica leader piddina che suona come un progressista che si tuffa in una piscina vuota perché il partito aveva assicurato che fosse piena d’acqua, ha sgridato Giorgia Meloni con la bacchetta in mano e gli occhiali ormai incollati ai capelli. Sugli occhi indossa infatti le fette di salame di Dolce e Salato e Gabbana, gli occhiali non li ha mai usati, qualora le scendessero sul naso forse tornerebbe a vedere la realtà, licenzierebbe l’armocromista e smetterebbe di prendere per il culo i cosiddetti lavoratori che peraltro votano a destra da qualche lustro. Si può dire e pensare quel che si vuole sul manifesto di Ventotene, non è un libro sacro e se stampato su carta morbida lo si può pure usare per la pulizia del posteriore senza incorrere nel reato di vilipendio. Ciò che non si può fare è invece negarne il contenuto e affermare che alcune frasi molto chiare e programmatiche vadano contestualizzate. Il Sole 24 Ore confeziona un capolavoro della disinformazione affermando che “mentre i passaggi citati dalla premier, legati all’idea di una rivoluzione socialista, appaiono datati…” c’è dell’altro ed è assai attuale. Come dire che mentre le smanie di grandezza che portarono Mussolini ad allearsi con la Germania e a entrare in guerra appaiono datate, bisogna considerare che fece anche qualcosa di buono. Regge il paragone? Per me sì, ma con una leggerissima differenza. Se un leader di sinistra in Parlamento leggesse delle farneticazioni di Mussolini per prenderne le distanze, nessuno dai banchi della destra le negherebbe. Non si capisce come mai Giorgia Meloni sia invece stata interrotta da urla e fischi mentre pronunciava un testo considerato sacro da lorsignori democratici. O meglio, non è vero che non si capisce, infatti il non pensiero politico della sinistra si regge sui totem che si tramandano di genitore uno in figlio e guai a chi li tocca, perché avendo ucciso il sacro e trasformato la laicità in laicismo, senza questi simulacri da adorare sprofonderebbero nella disperazione, quindi se glieli tocchi ti aggrediscono. E sguinzagliano l’ex comico Roberto Benigni, forse il più sopravvalutato tra i guitti italiani, che stasera ho avuto il piacere di non ascoltare, rimpiangendo “la canzone del corpo sciolto” che una volta era considerata la sua massima trasgressione, ma col senno di poi bisogna dire che insieme alle toccatine agli zebedei di Baudo e al culo della Carrà rappresentava il meglio di Roberto Benigni e senza dubbio anche del pensiero della sinistra italiana.