Stamattina appena alzato ho dato un’occhiata a Facebook e subito sono andato sulla pagina di Luciano per vedere come stava. Aveva infatti pochi giorni fa pubblicato una sua foto, attaccato alla flebo, scattata in ospedale, definendo “banale polmonite” il motivo del suo ricovero. Non so come spiegarlo, infatti ciò non è dimostrabile, sta di fatto che ancora prima di leggere un paio di commenti di persone vicine alla famiglia che avevano appreso la notizia, ho avuto la percezione che poi si è manifestata come vera quando, apertasi la sua pagina ho letto il classico R.I.P., l’acronimo usato per l’estremo saluto sui social. Avevo 14 anni, era il 1978, mi ruppi tibia e perone e per più di un mese fui costretto a starmene immobile in casa, un supplizio a quell’età. Il tempo non passava più, e uno degli svaghi diventato appuntamento quotidiano, eravamo già in settembre nel tempo che precedeva l’inizio del liceo scientifico, fu la simpatica trasmissione radiofonica di Luciano ed Ennio, noti come “Deficient men”, validi musicisti e cantanti, dotati di notevole senso dello humor che ne fece una coppia di cabarettisti niente male, seppur a livello locale. Così li conobbi, eravamo agli albori delle radio e TV locali. Luciano Bettoni ed Ennio Corbucci, che poi ho scoperto chiamarsi “Enio” con una sola enne, passarono alla TV con una trasmissione dell’ora di pranzo che si chiamava “Il Risotto”. Tra battute ed esibizioni canore gli ascoltatori telefonavano e venivano coinvolti nelle loro intelligenti gag. Gli ospiti in studio diventavano personaggi veri e propri, gli sponsor venivano presentati con leggerezza e ironia, al punto che ancora oggi mi ricordo nomi di attività imprenditoriali e commerciali locali molte delle quali manco più esistono. A distanza di quasi 40 anni un giorno cercai i due su Facebook, chiesi l’amicizia a Luciano, Ennio non c’era, e incominciammo a seguirci a vicenda, essendo entrambi cultori della battuta ironica. Diversi per molti aspetti ma con in comune il bisogno di sdrammatizzare e di guardare il mondo col sorriso, anche incazzandoci ma sempre con un po’ di leggerezza. Nei suoi ultimi post Luciano alludeva al dover rimanere un po’ bambini sempre: “La risata è un tranquillante senza effetti collaterali, quindi assumetela con regolarità” scriveva una decina di giorni fa. Dicevo che lo contattai su Facebook, poi ci scambiammo il numero di cellulare e ogni tanto ci sentivamo. Capitò un paio di volte che dovevamo vederci, poi per un motivo o per l’altro saltò l’incontro, ma al telefono rievocammo i tempi del passato millennio, e le ultime volte che ci siamo sentiti gli dissi che volevo fargli un’intervista video per raccontare, appunto, quel periodo in cui chi ebbe il fiuto di acquistare le frequenza radio e chi decise di improvvisarsi conduttore fece una scelta vincente, non solo dal punto di vista lavorativo ma anche della diffusione della cultura locale sempre bistrattata dai programmi scolastici eppure di fondamentale importanza. “Dottore, come sto?”. “Mah, dovrebbe fare una lastra”… “alla testa?”… “No, dal marmista”. Questa una delle ultime battute pubblicate su Facebook, questo era Luciano Bettoni, stamattina mi sono svegliato con una strana percezione. Davvero non so perché, sta di fatto che con Luciano se ne va una voce storica della nostra città, una delle ultime autentiche rimaste di un periodo glorioso che ha preceduto l’uniformità di pensiero e di costumi del giorno d’oggi, contro i quali a modo suo combatteva cercando di andare contro corrente per legittima difesa, ovvero per conservare la vita in bianco e nero di Brescia e del Carmine, il quartiere più affascinante della città per le sue contraddizioni e per la sua genuinità oggi ormai distrutta dalle invasioni barbariche del terzo millennio.