Dopo due anni e mezzo mi ritorna questo ricordo di don Francesco scritto il 31 12 2020.
L’altro ieri ero a Fraine e le campane suonavano. Ci si immagina sempre che, come accadeva una volta, ci sia un campanaro che tira le corde e un parroco che dirige le operazioni, invece no, le ore continuano a suonare, le campane sono computerizzate e don Francesco era in un’altra chiesa dove lo stavano salutando. Se n’è infatti andato la sera di S. Stefano. C’era con lui un nipote, gli ha chiesto di aiutarlo ad andare a letto, di coprirlo e s’è addormentato. Don Francesco era il classico prete di montagna, amava le sue montagne, lo incontravi nel bosco mentre saliva con la macchina alle malghe sotto il monte Guglielmo, lo vedevi seduto a cena conversare con quei pochi parrocchiani con davanti un bicchiere di vino. La sua parrocchia era quella di Fraine, una frazione di Pisogne sul lago d’Iseo dedicata a San Lorenzo, il patrono che viene celebrato il 10 Agosto quando a Fraine arrivano centinaia di persone per sfuggire al caldo e partecipare all’ormai collaudata festa dei “briganti”, ricorrenza legata alle insorgenze contro la prepotenza napoleonica che voleva esportare in Italia l’ateismo della Rivoluzione Francese. Un mese prima invece c’è la processione per la festa della Madonna delle Longhe, il santuario mariano appena sotto il paese, dove per l’occasione viene esposto il quadro “originale” della visitazione di Maria a Elisabetta. Il tutto dopo la processione con le candele accompagnata dalla recita del Rosario e dai canti Mariani, uno dei quali, il più sentito dai pochi abitanti rimasti, fu scritto in loco su iniziativa di un turista cremasco che veniva in vacanza qui diversi decenni fa. Don Francesco aveva curato e inaugurato quella che definiva la “chiesetta alpina” della Val Palot e ogni anno annunciava con enfasi la Messa solenne che, al termine dell’estate, sanciva la fine delle vacanze e il ricordo dell’inaugurazione della chiesa all’inizio degli anni ’90, alla presenza dell’allora Vescovo Bruno Foresti. E quando in agosto annunciava questo momento, che si ripeteva ogni anno, quasi si emozionava nel dire “ci sarà la Messa alla presenza dei nostri alpini”. Il mio ricordo andava all’inaugurazione, in particolare a quel “Signore delle Cime” che terminò la cerimonia e che conservo gelosamente nel mio archivio video. Sembra ieri, sono passati trent’anni. Don Francesco era un sacerdote mariano, in tutte le celebrazioni c’era un accenno alla figura di Maria e dopo il Padre Nostro faceva recitare anche l’Ave Maria. Le prime volte un po’ la cosa mi stonava, poi mi sono abituato all’idea: lui poteva, si capiva che questo gesto gli veniva spontaneo dal cuore. I “Briganti” erano saliti dal lago verso la montagna per organizzare le insorgenze, e a Fraine trovarono un popolo che in epoche di povertà e carestia fu capace di raccogliere denaro a sufficienza per lodare il Signore, costruire una chiesa parrocchiale e un santuario che molte città capoluogo di provincia se li sognano così belli, e di acquistare un organo che, restaurato per volontà di don Francesco e con l’aiuto fondamentale di Antonio l’organista, è uno dei più maestosi della nostra provincia dove hanno lavorato i maggiori maestri organari italiani. Don Francesco non era un “bravo predicatore” e con umiltà, nelle grandi occasioni, invitava sempre qualcuno per celebrare al suo fianco e tenere omelie degne dell’occasione. Anche le sue prediche però erano “degne”, essenziali, semplici e scritte a mano su vecchi quaderni dai quali le leggeva ormai a fatica, che raccontavano della sua vita da parroco montanaro, dedicato alle anime abbandonate in un mondo che ancora conserva la genuinità dei tempi che furono.
La sua introduzione al “Credo” è sempre stata la stessa: ” E facciamo la nostra professione di fede”.
“Ora, dunque, rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. La fede finirà, la speranza finirà, ciò che rimarrà è la carità, perché la più grande di tutte”. Per il nostro parroco di montagna è il tempo della carità che non finirà mai, noi siamo ancora nel tempo della fede e della speranza che anche grazie a lui si sono ben nutrite in questo cammino sui sentieri delle nostre pinete lungo i quali ci ha accompagnato in questi trent’anni.