Come è “noto” sono stato tifoso quasi sfegatato della Juve fino all’ultima di Platini, il 17 maggio 1987, Juve Brescia 3-2: partita sul 2-2, festa per tutti, per Platini, per la salvezza del Brescia, per il secondo posto della Juve, ormai lo scudetto era del Napoli. A un certo punto un bresciano che giocava nella Juve, Ivano Bonetti, si inventò un gol contro la squadra della sua città, in cui tra l’altro aveva militato per tre anni, dopo aver rassicurato Stefano Bonometti, amico ed ex compagno di squadra: “tranquillo, non cercherò di segnare” (questo è ciò che uscì quel giorno dagli spogliatoi del Comunale, se sia vero non posso saperlo). Tanto tranquillo che il bresciano Ivano Bonetti spedì il Brescia in B (con un pareggio sarebbe retrocesso l’Empoli). Invano fu il tentativo di rimediare al gol di Ivano. Nel suo libro “La mia vita come una partita di calcio”, scritto con Toni Damascelli, Platini ricorda con commozione quel giorno e con dispiacere l’aver festeggiato senza i giocatori del Brescia. Sta di fatto che è sì vero che una squadra seria deve sempre cercare di vincere, ma a un quarto d’ora da una doppia festa a fine campionato, un pareggio conquistato da entrambe le squadre sul campo, di norma resta tale, farsi del male è da stupidi. Quel giorno capii che il mio tifo per il Brescia veniva dal cuore, quello per la Juve derivava dai ricordi di infanzia quando con i miei cugini andavamo in giro, con lo zio alla guida della Fiat 127 a sbandierare per festeggiare gli scudetti bianconeri. Oltretutto questo zio in gioventù, studente a Torino, aveva giocato nelle giovanili della Juve, quindi quella era la mia squadra…
Dopo quella partita, senza Platini, mio “idolo” (seppur francese) in contrapposizione a Maradona, che consideravo un giocoliere da circo, e col dente avvelenato per quel triste 17 maggio, iniziai a essere un ex tifoso. Fino a diventare da tifoso pro un tifoso contro.