Sentinelle in Piedi

10 ANNI di SENTINELLE IN PIEDI.

Brescia, 24 luglio 2013. Dieci anni fa un pomeriggio di luglio, un gruppo di amici si trovò in un bar di Brescia per capire che cosa si potesse fare insieme per contrastare la narrazione a senso unico dei mass media. In particolare, in quei giorni, in Parlamento si stava tramando nel buio (con udienze notturne, in piena estate, allo scoccare dell’ora delle ferie) per far passare in commissione Giustizia alla Camera un ddl terribile dipinto invece con i termini edulcorati della neolingua di stampo orwelliano come “contrasto all’omofobia”. Il decreto legge Scalfarotto introduceva infatti nel codice penale il nuovo reato, di omofobia appunto, che prevedeva la galera per chi avesse osato fare delle affermazioni pubbliche che potessero offendere in qualche modo quelle che oggi vengono chiamate comunità LGBT. Pertanto stava passando, nell’ombra, una legge bavaglio contro la libertà d’espressione. Se non sai che cosa non puoi dire, non definisci il significato di omofobia, ti stanno facendo capire che devi stare zitto, che se ti denunciano per aver detto, per esempio, che il matrimonio è solo tra uomo e donna e la causa finisce in mano a un giudice che stabilisce che si tratta di parole percepite da qualcuno come una offesa, con una legge che prevede un reato senza definirne la fattispecie il rischio è la galera. In Italia stava incredibilmente passando una legge del genere, qualcosa di gravissimo, stava tornando il reato d’opinione tanto caro ai gerarchi del ventennio e ai rivoluzionari staliniani, questa volta su richiesta di chi da settant’anni si definisce antifascista e mobilità le piazze ogniqualvolta dalle urne esca un governo non gradito (ovvero non di sinistra).
Dall’idea di un amico che aveva visto un filmato su Youtube, quello dei Veilleurs Debout francesi, schierati nelle piazze con un libro in mano per protestare silenziosamente contro le Istituzioni, partì l’idea di schierarci anche noi, a Brescia. Nacquero così le “Sentinelle in Piedi”. Mentre ai tavolini di quel bar di Via Vittorio Veneto stava prendendo piede l’idea, improvvisamente uno stormo di uccellini iniziò a venirci addosso, a volare sui nostri bicchieri, a posarsi quasi sulla nostra testa, in parole povere a disturbare. A un certo punto tutti volarono via, ne rimasero solo due che si misero in posa sullo schienale di una sedia, come se volessero essere fotografati. Si trattava di un maschio e di una femmina, quasi a significare che dopo tanta confusione e tanti attacchi alla famiglia, la verità e la logica alla fine avrebbero prevalso. Questo bellissimo segno, che non poteva venire dal caso, fece da apripista alle Sentinelle in Piedi che in breve tempo si diffusero in tutta Italia, grazie all’incredibile lavoro di alcuni benemeriti del gruppo che subito intuirono che il movimento si sarebbe diffuso in tutta Italia e avrebbe riempito centinaia di piazze. Il fatto più indicativo, la prova del nove che ciò che stava nascendo poteva essere qualcosa di “grande” fu la reazione iniziale dei media che poi sarebbe continuata negli anni a seguire con lo stesso metodo: il principale giornale cittadino infatti, alla prima veglia ufficiale in largo Formentone a Brescia, mandò una giornalista che sembrava molto attenta a contarci. scrisse però che eravamo una quarantina, quando invece il numero dei presenti era almeno il doppio. Le cosiddette “veglie” delle Sentinelle in Piedi consistono nello schierarsi in piedi, ordinatamente, a circa un metro e mezzo di distanza in diverse file, leggendo un libro per la durata di un’ora. All’inizio di ogni veglia il portavoce spiega il motivo della presenza in piazza a coloro che vi transitano. Alcuni organizzatori distribuiscono materiale informativo e al termine della veglia il portavoce saluta e ringrazia. Fin da subito queste manifestazioni pubbliche, che a eccezione della prima che fu un flash mob davanti a Palazzo Loggia, sede del Comune di Brescia, si svolsero sempre previa comunicazione alla Questura, cioè furono autorizzate. E fin da subito alcuni gruppi di disturbatori non autorizzati iniziò a cercare di interrompere le veglie con grida, parolacce, bestemmie, esposizione di cartelli pornografici, cori canzonatori, insulti. In alcune città ci furono veri e propri violenti attacchi squadristi. Tant’è che per assurdo da un certo punto in poi ogni volta che si vegliava in piazza la Questura prese l’abitudine di allestire un vero e proprio recinto di barriere in metallo per difenderci da eventuali contatti coi contestatori. Invece di disperdere i manifestanti non autorizzati dovevamo stare noi in gabbia.
Alle Sentinelle in Piedi, dipinte come movimento omofobo, ultracattolico, reazionario, fascista e quant’altro, in questi 10 anni hanno partecipato uomini e donne di tutte le età, bambini, adulti e anziani italiani e stranieri, cattolici, musulmani, atei, di destra e di sinistra. A qualcuno non parve vero che dalla Moschea cittadina si fossero mobilitate una quindicina di persone per sostenere la nostra causa. Così come non sembrava vero che tra i manifestanti considerati omofobi ci fossero pure degli omosessuali. Così è stato, ovunque, e allora i contestatori iniziarono a organizzarsi in gruppi, a darsi un nome, più nomi per dimostrare di essere maggioranza. Nacquero così i Sentinelli, le Caramelle, e altre sigle che avevano il solo scopo di imitare le Sentinelle per scoraggiarne la permanenza nelle piazze. Ovviamente la presenza di questi contestatori non poteva essere autorizzata laddove c’era già qualcuno che stava manifestando con il placet delle autorità competenti e la presenza di alcuni uomini della Digos talvolta in numero spropositato. Accadde così che i giornali iniziarono a prendere sul serio le richieste delle Sentinelle, a parlarne, a dedicare intere pagine, ma per non apparire schierati da una parte sì arrivò al delirio di frasi come “da una parte le Sentinelle in Piedi, dall’altra parte della piazza le Caramelle”… Come se a una manifestazione della CGIL alcuni eventuali contestatori, che di fatto non possono esserci perché in tal caso le forze dell’ordine interverrebbero con le buone o con le cattive per disperderli, venissero considerati dai media come antagonisti che democraticamente dissentono.
Ma al di là di tutto, di mille aneddoti che si potrebbero raccontare sulle tante ore trascorse in piazza, tutto ciò a che cosa è servito? Ne è valsa la pena? Innanzitutto il ddl Scalfarotto non passò grazie a chi come le Sentinelle svegliò un’opinione pubblica addormentata e addomesticata dai giornaloni. E in seguito andò buca anche allo Scalfarotto 2.0 , cioè il ddl Zan. Ne è valsa la pena perché tanti che ignoravano quel che stava accadendo dietro le quinte della società civile si sono di fatto svegliati e hanno iniziato a informarsi. Ne è valsa la pena perché con 10 anni di anticipo abbiamo previsto quale sarebbe stato l’ordine del giorno delle élite radical massoniche negli anni ’20: oggi si parla di gender e di temi annessi persino nella campagna elettorale americana. Ne è valsa infine la pena perché, come recita lo slogan “madre”, o “padre”, che dir si voglia, delle Sentinelle in Piedi, “è meglio morire in piedi che vivere in ginocchio”. E come con enfasi urlò Giovanni Paolo II in una omelia a Washington nel 1979: «Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana è minacciata. Ci alzeremo quando un bambino è visto solo come un mezzo per soddisfare un’emozione”. A distanza di 44 anni dal monito profetico del grande Papa Karol Wojtyla, oggi qualcuno parla di utero in affitto, e avendo capito che “fabbricare” bambini per venderli è disumano, oltre a definire tale barbarie come GPA, sigla sostitutiva e innocua che sta per gravidanza per altri, ancora non bastasse la neolingua, si è voluto nuovamente edulcorare il tutto con l’aggiunta di “solidale”, come se procreare un figlio per poi darlo ad altri fosse una pratica umana se fatta gratuitamente (cosa peraltro impossibile, quello dell’utero in affitto è un business che nuove centinaia di milioni di dollari, non esiste donna al mondo che dia via il proprio figlio se non costretta dalla povertà e dalla falsa chimera di un guadagno che possa risolvere i propri problemi economici). Ancora una volta quindi se sarà necessario ci alzeremo in piedi leggendo un libro in silenzio per dimostrare che urlare slogan può servire sul breve, informarsi e leggere è invece più faticoso ma è la verità che ci rende liberi.

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