Dov’era Dio?

Ospito un articolo dell’amico Gianmaria Spagnoletti sul mistero del male.

Terremoto nel Lazio

«Dov’era Dio». Il mistero del Male, i “castighi divini” e la Misericordia di Dio.

Dopo ogni disgrazia ritorna la domanda sul perché delle vittime innocenti. Fatalità, castigo divino o domanda senza risposta? La fede prova ad arrivare là dove le certezze filosofiche e scientifiche sembrano insufficienti.

Nel 1755 un terremoto di eccezionale intensità devastò Lisbona, capitale dell’Impero del Portogallo. Fu un evento di portata immensa perché, oltre a diverse decine di migliaia di vittime, il sisma causò anche un dibattito filosofico sul “perché” del male nel mondo che continua ancora oggi.

Anche in occasione del terremoto in Italia centrale, e della valanga che ha travolto l’Hotel Rigopiano tutti sono tornati a chiedersi il perché di quelle vite spezzate all’improvviso, versando fiumi d’inchiostro sui giornali. Si è parlato di nuovo di “castighi divini”, in un curioso “incrocio” tra voci cattoliche non ufficiali (su Facebook) e voci musulmane legate all’ISIS. Qualcun altro si è spinto a parlare di “karma” (come dire “contrappasso”) perché Amatrice è ovviamente la patria dell’“amatriciana”, e il sisma avrebbe “vendicato” la morte di tanti poveri animali finiti nel condimento della pasta. Tuttavia, commentare una dichiarazione del genere vorrebbe dire scendere al suo stesso livello, quindi meglio passare oltre.

Insomma il sisma che ha sconvolto Lazio e Abruzzo la scorsa estate, e che continua a tutt’oggi ha sconvolto le vite ma anche le menti. Quella benedetta domanda, però, è salutare.

«Dov’era Dio ad Auschwitz?» è la domanda che si è fatto Elie Wiesel e che qualcuno ripeteva a noi studenti nella Giornata della Memoria.

«Dov’era Dio ad Amatrice?». E la domanda si può ben fare, visto che sono morte persone di ogni tipo ed età: genitori sono rimasti senza figli, e bambini sono rimasti orfani; persino una famiglia intera (una coppia e la loro figlia) è stata schiacciata dal campanile che è piombato sulla casa dove abitavano. Il disastro dell’Hotel Rigopiano, accanto alla gioia di aver trovato alcuni superstiti, tra cui una mamma con i suoi bambini, ha significato la morte di ben 29 persone. È il mistero della sofferenza dell’innocente: come Giobbe, che perde i figli all’improvviso, travolti dal crollo della casa dove stavano facendo festa. Giobbe è un sant’uomo, ma gli amici insistono a dirgli: «Devi pur aver fatto qualcosa!», alla ricerca di una spiegazione semplice e immediata alla serie di disgrazie che lo colpiscono, nonostante siano evidentemente immeritate.Giobbe però accetta tutto quello che gli succede, per un semplice motivo: egli si fida di Dio, e sa che Dio non può volere il male, né la morte delle sue creature.

La verità è che non ha senso farsi quella domanda o tirare in ballo i “castighi divini” per poi farne un “minestrone” insieme a tutte le polemiche sugli sciacalli, sulle case non antisismiche, sulle tendopoli e sugli appalti per la ricostruzione. L’uomo onesto non si merita che gli venga svaligiata la casa, ma il ladro si merita di essere incenerito da un fulmine appena mette le mani sulla cassaforte. Giusto, no? E allora perché in genere non succede così? Il fatto è che la “faccenda” è molto più ingarbugliata di come sembra.

Per dire cose almeno un po’ più sensate bisogna prima uscire dal meccanismo di buona azione = premio e cattiva azione = punizionea cui siamo abituati a pensare. Hai fatto il bravo? Ti do un dolcetto. Non hai fatto il bravo? Vai in punizione dietro la lavagna.

Questo ragionamento poteva funzionare finché eravamo alle elementari, ma da grandi non si può più pensare in questi termini. Alcuni adulti non abbandonano mai questo metro di giudizio (per quanto abbiano studiato), ma la realtà è talmente complessa che, per vederla nel modo giusto,ci impone di cambiare modo di osservarla. Tutto è veramente così?

Intanto è meglio chiarire una cosa. Il terremoto è un evento presente in natura ed è ineluttabile. Cioè significa che quello di Amatrice non è stato il primo, e non sarà l’ultimo. Non possiamo farci niente e non possiamo prevedere questo tipo di eventi (per ora). L’Italia è una parte del mondo con una sismicità rilevante, perché la Penisola si trova sul confine tra la zolla euro-asiatica e quella africana, e tra l’altro si sposta verso Est di qualche centimetro ogni anno.

Ma l’Italia non è l’unica zona soggetta a terremoti: alcune parti del mondo sono a rischio di scosse anche più violente: le Hawaii, ad esempio, sorgono su una intera fila di vulcani che emergono dall’Oceano Pacifico sul margine di due placche in movimento.

In California, addirittura, stanno ad aspettare il “Big One” (lett. “Quello grosso”) che potrebbe spazzar via Los Angeles e San Francisco (già devastata dal terremoto del 1906). Entrambe le città, infatti, sorgono sulla Faglia di San Andreas, confine tra la placca americana e quella pacifica, che si muovono continuamente causando un accumulo di energia; quando questa si scarica, la terra “balla” con più o meno violenza. Questo perché le viscere della Terra contengono magma ad altissima temperatura che con i continui “moti convettivi” tra il centro e la crosta terrestre fa muovere anche le zolle di superficie.

È con i terremoti che i continenti hanno assunto la forma attuale nel corso di milioni di anni, e per quanto tecnologicamente avanzati, noi esseri umani continueremo a subirne la minaccia. Ci saranno altri danni e altri morti in futuro, che continueranno a scandalizzarci molto di più delle vittime per annegamento o per incidente stradale (quelle sì più evitabili, ma che emotivamente ci scuotono molto meno).

Insomma: perché è successo il terremoto di Amatrice? La spiegazione scientifica ve l’ho appena data, ma non esaurisce la domanda. Niente affatto. La domanda va ben oltre il “perché” fisico dei terremoti.

Mettiamola così: perché quella gente è morta nel cuore della notte, in casa propria, cioè nel luogo che doveva offrire loro più sicurezza? Che cosa aveva fatto di male? Nulla!

«In quella notte, due saranno in un letto. Uno sarà preso, e l’altro lasciato» (Lc 17,34). E la Scrittura non dice di più. Non spiega qual era quello “buono”, o quello “cattivo”. Non dà ragioni, come se volesse lasciare la questione aperta. E allora c’è dell’altro: l’uomo non ha la risposta all’enorme “perché” che il terremoto gli fa porre. Ne resta privo, come Giobbe seduto sulla cenere.

Permettetemi una digressione: ci sono dei fatti che in questo contesto è bene riconoscere. In primo luogo, l’uomo deve riconoscere la sua transitorietà sulla Terra. Per quanti progressi abbia fatto la scienza per allungarci la vita, siamo tutti di passaggio e un brutto giorno scompariremo. Questa certezza è l’unica che abbiamo (ma sembra essersi persa per strada) perché a rigor di logica, non sappiamo né il “quando”, né il “come”(a meno che uno non scelga di fare da sé, ma questa è un’altra storia). Questo non è parlare di “castighi divini” come si faceva 100 anni fa! È un fatto concreto che la vita dell’uomo sia relativamente breve. E poi per alcuni è pure grama perché il mondo è inevitabilmente “segnato” dal male.

Torniamo allora alla domanda di Elie Wiesel: «dov’era Dio?» Qualcuno la pone come per dire «Vedi? Dio non c’è». Ma non aggiunge, da furbo, la risposta che lo stesso Wiesel ha dato: «Dio era lì con loro», con chi moriva, ad Auschwitz (o nel terremoto). Dio non ci abbandona nemmeno lì, tanto che persino suo Figlio è morto da innocente (facendosi carico di ogni umana sofferenza) per poi risorgere. Come a ricordarci che questo mondo è la nostra “casa” solo per un po’ di tempo, ma non quella “vera” (il Paradiso), a cui dobbiamo aspirare.

Possiamo sperare che a molti di quelli rimasti sotto le macerie, Dio abbia dato una possibilità di ravvedimento, di riconoscere la propria fragilità di uomini, di chiedere perdono per i propri peccati, e di cambiare vita (se sopravvissuto).

«Non vi è un solo passero che muore senza che lo voglia Dio. Ma voi valete più di molti passeri» (Lc 12, 6-7). Per Dio la vita umana ha un valore immenso, e non va mai perduta. Guardiamo a questa disgrazia non per chiederci dov’era Dio, ma per deciderci a spendere bene le nostre vite: se vogliamo, per aiutare chi è rimasto senza casa, ma più in generale, per fare del bene.

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