Auschwitz e i ragazzi d’oggi.

Ore 21,30. Scopro che mio figlio Francesco deve fare una relazione su “Fino a quando la mia stella brillerà” di Liliana Segre.

Ore 21,31. Inizio a leggere e a prendere appunti, sono circa 200 pagine ma cosa vuoi che sia, ha avuto solo 18 giorni per questo compito, l’ultimo giorno di scuola era assente e si sono dimenticati di dirgli che la scadenza tassativa era prevista per domani.

Ore 22,00. “Quanto ti manca?”.

Ore 22,00 e qualche secondo, parte la prima parolaccia.

Ore 22,20. Mica male la storia, a parte un riferimento infelice a Isabella di Castiglia (chi me la tocca diventa automaticamente mio nemico), trovo che questo romanzo storico sia onesto e per niente ideologico.

Ore 23. Ho finito. E aiuto Francesco a scrivere il riassunto e a rispondere alle seguenti domande.

Ore 23,50. Buona notte.

Ore 23,50 e qualche secondo, “grazie papà”.

Ore 23,51. Penso che il ministro la prossima volta dovrebbe non consigliare ai professori di non rompere le palle coi compiti delle vacanze, bensì obbligarli a non darne.

Ore 23,52. Ringrazio però l’insegnante perché sono stato costretto a leggere una storia che mai, nemmeno sotto tortura avrei affrontato.

Alcune riflessioni. Sappiamo che il nazismo e (parzialmente) il fascismo sono stati nefasti, che il razzismo è un male di origine satanica, che però, a forza di affrontare in modo ideologico l’argomento, c’è il rischio di provocare una reazione di rigetto da parte soprattutto dei giovani che capiscono la mancanza di sincerità di chi continua a organizzare visite ad Auschwitz relegate a gita scolastica, cioè svago. Nel libro la Segre racconta della sofferenza di quando, tornata a Milano, non riusciva a raccontare dei lager perché la gente era felice per la fine della guerra e non voleva ascoltare il racconto di una tragedia. L’essere umano è chiamato alla verità ma soprattutto alla bellezza, quando vede davanti a sé la speranza non vuole sentir parlare del male assoluto. Oggi, a più di 70 anni di distanza, Liliana Segre dovrebbe capire che ciò che racconta del 1945 vale triplo per i nostri tempi: I giovani con la pancia piena e la PlayStation se ne fregano di ciò che accadde nel secolo scorso, lo vivono con distacco esattamente come vivono le guerre puniche. Se imponi loro il ripudio di ciò che non c’è più, otterrai solo indifferenza. Questo racconto mi è piaciuto perché mentre lo leggevo, seppure a duecento all’ora, ero là con la bambina Liliana, non c’erano destra e sinistra, Mattarella e i pistolotti demagogici, l’ANPI e le sue ragnatele, “Bella ciao” e il populismo bandiera rossa. C’era solo la verità che ci rende liberi. Ammesso che non si vada avanti a parlarne all’infinito, sennò si rovina tutto; questo è accaduto per colpa della sinistra comunista e post comunista che per un profondo senso di colpa di matrice freudiana, ci ha riempito di Shoah non per affermare la verità ma per dirci che i comunisti non erano cattivi come i fascisti e i nazisti. Peraltro non ci sono riusciti, avendo gli storici emanato una sentenza definitiva che mette comunismo e nazismo nello stesso identico girone infernale. Liliana Segre dovrebbe capire che avrebbe dovuto rifiutare la nomina di senatore a vita, che quella mossa, voluta dai suddetti cultori ideologici della Shoah, non fa che tenere lontani dal suo racconto tutti coloro che diversamente l’avrebbero letto per saperne di più, avendo apprezzato un gesto contro corrente e anti demagogico. Invece s’è lasciata arruolare nelle fila di una sinistra che dice “mai più” ma sta coltivando un’ideologia uguale identica a quella che, degenerata, ha portato all’Europa le peggiori sciagure della sua storia. A mio parere una lettura critica di questo romanzo (che non avrei letto nemmeno sotto tortura) dovrebbero consigliarla coloro che si dicono di destra, perché la morale della favola è che oggi la lotta all’ideologia simil nazifascista esiste solo a destra.

 

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